Sulla mia pelle

Sulla mia pelle (Alessio Cremonini, 2018)
SPOILER: sono stati i Carabinieri

Stefano ce lo siamo raccontati in tutti i modi, abbiamo visto la sua faccia ossuta i suoi lividi e la sua bocca aperta, il suo corpo sfasciato dalle botte, la sua vita testimoniata dalla sorella Ilaria e la rabbia che tutto questo ha comportato. Cremonini nel suo film racconta ciò che non abbiamo mai avuto modo di vedere, vale a dire la vita di Stefano nei sette giorni che precedono quella foto lì, che tutti conosciamo.
Sulla mia pelle è un film statico, che si muove pochissimo, fatto di celle spoglie nelle quali viene spostato di volta in volta quest’uomo col corpo spezzato. Un film di persone, che incontrano Stefano Cucchi e gli chiedono di ripetere ad alta voce il suo nome, che un po’ fanno finta di non vedere come è ridotto, un po’ provano a chiedere ma senza esserne troppo convinti. Questo montaggio di persone e di ambienti dà l’impressione che non ci sia alcun movimento, né in avanti né indietro, se non fosse per ciò che accade al corpo del protagonista, e alla sua voce. In questo Borghi fa accapponare la pelle.
Stefano Cucchi si accartoccia scena dopo scena nonostante il colore degli ambienti e le voci delle persone che lo incontrano siano praticamente immutabili, si ripiega su se stesso, cade inciampa e prova a rialzarsi in questa Via Crucis contemporanea senza ahimè il finale fantasy. I lividi, le ferite, i liquidi del corpo, il dolore sono esposti di ogni scena, il richiamo al Cristo pare voluto e probabilmente ci sta.
Il film è scritto tutto carte alla mano e si vede, mostra solo ciò che è accertato dalla Giustizia, e infatti non vediamo il pestaggio a opera dei Carabinieri, il che non sembra solo una scelta stilistica. Chi sia stato a ridurlo così lo sappiamo dalla voce di Stefano, altra cosa che si trova negli atti giudiziari.
In questo il film incespica un po’, nel non voler raccontare ciò che non è sicuro, ma per la Giustizia Italiana Cucchi è ancora morto de pizzichi, quindi un po’ di coraggio in più non avrebbe guastato: per un’ora e mezza assistiamo a un racconto tutto in prima persona, dal quale però mancano le botte e la ragione di certe scelte di Stefano, come il rifiuto di ricevere alcune cure (altre informazioni prese letteralmente dagli atti): c’è da chiedersi cosa resterà di questo film tra cinquant’anni, quando la vicenda avrà perso la sua componente passionale ed emotiva e resterà un film tecnicamente bellissimo, recitato da Dio ma aderente, nella sceneggiatura, solo agli elementi chiariti ufficialmente.
Di solito le opere d’arte colmano questi vuoti inventando, interpretando o aggiungendo. “Sulla mia pelle” non lo fa. Si affida agli sguardi di qualche infermiere o carabiniere e all’interpretazione di Borghi che, passatemi l’anticlimax un po’ rozza, non riesce a non essere bono neanche in un film così.
A visione terminata restano un profondo silenzio, la nausea, la solitudine e la rabbia, inevitabile, verso le persone di merda che Stefano ha incontrato suo malgrado negli ultimi sette giorni della sua vita. E mentre vediamo il suo corpo livido spostarsi da una cella all’altra, prima strisciando dolorante sulle sue gambe, poi caricato di peso, senza poter dire nulla, senza poter vedere la sua famiglia, senza decidere se rispondere o no a una domanda, trattato come un rifiuto in discarica, viene inevitabile pensare, almeno un paio di volte, che il motivo di tutto questo è un panetto di fumo tagliato in dodici pezzi e due grammi di cocaina.
Un po’ poco per non esistere più, no?

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