Něco z Alenky, (Jan Švankmajer, 1988)
Ovvero: i sogni son – polverosi – desideri
Stasera mi sono visto un film cecoslovacco realizzato in stop-motion, per lo più muto, senza colonna sonora e con una sola protagonista “umana”. Gli ingredienti per una poderosa mattonata sul pube c’erano tutti, ed era quello che andavo cercando per avere nuovo materiale con cui fare colpo durante qualche apericena, per dimostrare di essere qualcosa di più di un visino carino e un paio di gambe mozzafiato.
Le mie aspettative sono state parzialmente deluse, perché il film è piuttosto scorrevole e soprattutto dura solo un’ora e venti: il primo pirla che avesse citato, chessò, The Kingdom di Von Trier o Heimat di Reitz mi avrebbe asfaltato in qualunque amena discussione.
“Něco z Alenky” è una rivisitazione del classicone di Carroll, passato nel frullatore umidiccio e ammaccato dell’estetica est-europea. Alice, annebbiata dalla noia, vede il suo coniglio imbalsamato (oggetto immancabile in tutte le stanzette di bambine cecoslovacche prima della caduta del Muro) prendere vita. Lo segue e finisce in una specie di scantinato in cui oggetti, scarti alimentari di ogni tipo, bambole, calzini sono esseri animati e la ricacciano in un delirio lisergico che è piuttosto fedele alla storia originale. Il bianconiglio, di cui allego un rassicurante screenshot:
perde segatura da uno squarcio sul petto, lui imperterrito la rimangia raccogliendola in pentole o ciotole. Il cappellaio matto è un burattino che beve il the facendolo cadere nel suo tronco cavo, il brucaliffo è un calzino con una dentiera, che per addormentarsi si cuce (giustamente) gli occhi con ago e filo.
L’intero film assomiglia all’incubo di un bambino: un microcosmo fantasioso e ingenuo che pesca la paura dagli oggetti della propria casa. L’aspetto metaforico della vicenda è secondario, perché qui è tutto reale, più che reale, e si muove con una stop-motion scattosa e muta che può benissimo corrispondere al modo in cui si muove il materiale onirico nelle nostre testoline.
Lo consiglio soprattutto per lavarsi dagli occhi quella cacata assordante dell’Alice in Wonderland di Burton, forse la più clamorosa delusione della storia del cinema del braccio esterno della Galassia.
La versione che ho visto era in lingua originale senza sottotitoli, perciò adesso so come si dice “tagliatele la testa” in ceco.
Credo.
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