Shining al cinema ovvero: Danny vai a gioca’ da solo che è mejo
No, non recensirò Shining, anche se avevo sottovalutato le secchiate di Edipo che meriterebbero più di un passaggio, soprattutto la scena meravigliosa e inquietante in cui Danny chiede al padre se ha intenzione di fare del male a lui e alla mamma, e Jack gli risponde cingendolo ma sto recensendo Shining, e avevo detto di non volerlo fare.
Insomma ieri ho visto il capolavoro kubrickiano al cinema, e l’impressione è stata quella di una visita a un monumento che in genere vedi solo in foto. Il fatto di rivedere sul grande schermo le scene di un film che conosco fotogramma per fotogramma mi ha procurato più di qualche tuffo al cuore (l’assordante colonna sonora fatta di pulsazioni cardiache quando parte lo shining, gli ascensori che fiottano sangue come un’arteria recisa, l’accettata al cuore del cuoco, il “cuore” del gatto delle nevi strappato da Jack ma sto recensendo Shining, e avevo detto di non volerlo fare).
Le emozioni del cinematografo sono arrivate tutte, è stato molto bello, adesso voglio vedere al cinema anche 2001, Solaris, Apocalypse Now, Quarto Potere, l’Alice della Disney e il monumentale Tarzan di Siffredi. Il cinema è un luogo molto strano perché nonostante abbia più di un secolo è rimasto sostanzialmente lo stesso: stai seduto al buio in mezzo ad altra gente che mastica, mormora, tossisce, si cerca cose addosso producendo fruscii di stoffa. Come metti le dita sotto il bracciolo della poltrona, incappi in qualche chewingum fossilizzato.
La cosa ha una sua poetica e fa parte dello show, ricordo che durante la proiezione di IT i pischelli facevano le foto allo schermo col flash, per dire.
Ma con Shining è un po’ diverso, anche se non troppo male. Sono rimasto sorpreso dalla quantità di gente in sala che stava vedendo il film per la prima volta, e devo dire che è stato interessante osservarla, benché io trovi insensato vedere Shining per la prima volta al cinema nel 2017: cazzo a una cosa del genere devi arrivarci preparato.
Comunque accanto a me c’era un gruppetto di ventenni di cui uno solo aveva visto il film, che ha ben pensato di trascorrere tutto il tempo a spiegare le scene agli amici. “Vedi i coltelli che incombono su Danny”? diceva commentando la scena in cui il cuoco spiega a Danny dello shining, tra l’altro una delle molte sequenze in cui Kubrick si diverte ad anticipare i risvolti tragici della vicenda: si pensi alla citata scena “edipica” il cui punto focale è rappresentato dalla minuscola finestrella del bagno dalla quale Danny riuscirà a fuggire salvato dalla madre, in una sorta di secondo parto, creando in questo modo elementi ciclici nel racconto che ne consentono una meta-lettura ma sto recensendo Shining, e avevo detto di non volerlo fare.
Molto divertenti i titoli di coda, con commenti di questa levatura: “cioè dai, ma che fa paura?” “Direi più un thriller che un horror”.
Una sola ragazza, sulla ventina, fuori dal cinema, è riuscita a chiudere la mia serata così: “paura no, ma so’ stata tutto il tempo co ‘sta cosa nello stomaco. E ce sto ancora mo”.
È esattamente quello che Kubrick voleva. Creare un tipo di paura in grado di restare, di non concludersi mai. L’intero film del resto è una riflessione “rovesciata” sulla morte come fine di tutto, i cui effetti sono cristallizzati ed eternizzati dal potere di Danny e dalla follia di Jack, in quel teatrino inconscio che tanto faceva incazzare Deleuze.
Ma sto recensendo Shining. E non lo farò mai più.
Qual è l’opposto del “mai più” che tanto angosciava Poe nel racconto del Corvo, perché richiamava la Morte come fine di tutto?
Ah sì: Per sempre. Per sempre. Per sempre.
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