It – Capitolo 2: crescere è una grandissima sòla

It – Capitolo 2 (A. Muschietti, 2019)

Questa recensione non richiesta è non richiesta innanzitutto da me. Il secondo capitolo del primo adattamento cinematografico del librone kinghiano è, per essere ingiustamente sintetici, una poderosa puttanata e questa recensione è diciamo motivata principalmente dai miei tratti OCD che non possono tollerare l’idea di aver recensito solo il numero uno di un’opera divisa in due parti. È delirio di completamento, è una compulsione d’ordine come quella che porta Yosemite Sam a cadere vittima della sua stessa trappola, pur di ascoltare la giusta sequenza di note nella celebre gag del piano-bomba con Bugs Bunny.
Quindi facciamolo alla svelta e prendiamo l’esperienza a lezione sull’evitare il più possibile i blockbuster, vizio questo che ho preso negli anni, invecchiando potremmo dire, quando neanche dieci anni fa i film li avrei visti solo se il loro plot fosse rientrato nello spettro che va da “suore di clausura lesbiche rumene aliene in bianco e nero coi sottotitoli in inglese” a “Eraserhead” (D. Lynch, 1977). Eraserhead si colloca nella parte mainstream dello spettro, ovviamente.

Tutti sapevano che la seconda parte di It sarebbe stata molto diversa dalla prima. Tutti erano a conoscenza del fatto che il primo capitolo del 2017 fosse stato come baciato da uno stato di grazia spaziotemporale probabilmente irripetibile, in pieno orgasmo revivalistico anni 80, aggravato dal fenomeno Stranger Things di cui addirittura il film si portava via un pezzo (il giovane Finn Wolfhard), con quel Pennywise di Skarsgård ironico, malinconico e fragile in grado di ricreare una mitologia pop che affiancasse la memorabile interpretazione di Tim Curry del 1990. In molti, diciamo noi nerd o ex nerd kinghiani, sapevamo quanto la seconda parte del libro, quella ambientata nel presente con i protagonisti adulti, fosse in sostanza infilmabile, cosa testimoniata anche dalla terribile seconda parte della miniserie 1990 che oggi ricordiamo con piacere solo perché abbiamo questo difetto di fabbricazione che vincola i ricordi degli eventi ai vissuti emotivi.
Parlando del libro, che è un espediente retorico per non parlare del film, l’It di Stephen King è probabilmente il suo capolavoro, non un capolavoro in senso assoluto, King non è Hemingway, non è neanche Roth, e neppure Lansdale di cui vi consiglio di leggere l’imponente e splendida epopea horror La notte del Drive In pubblicata due anni dopo It (The Drive-In: A “B” Movie with Blood and Popcorn, Made in Texas, 1988). La prosa di King è semplice e lineare, la sua narrazione è diritta e concentrata sui fatti e sui dialoghi, l’autore è prolisso nelle descrizioni e piuttosto approfondito nella psicologia dei personaggi, non è il più grande scrittore d’America ma, come si diceva nella recensione del primo capitolo, merita un posto nella letteratura pop perché ha creato un mondo, una Storia, soprattutto in It.
Questo mondo emerge un po’ tutto nel film It – Capitolo 2. Il problema è che emerge a casaccio, in un frullato di allusioni, ammiccamenti, rimandi, citazioni: è come se Muschietti e gli sceneggiatori avessero iniziato a sentire il peso del libro che, ripetiamolo, non è un Mostro intoccabile, è solo difficile da mettere in immagini perché percorso da molte sequenze solo pensate, monologhi di entità divine, riflessioni dello stesso It ma, se proprio vogliamo parlare di film tratti da libri impossibili da filmare, cosa dovremmo dire de Il Pasto Nudo (D. Cronenberg, 1991)? Davidone ci provò a rendere quel lungo delirio verbale a modo suo, e ci riuscì.

Non sto paragonando Muschietti a Cronenberg, però anche basta con questa storia, con “il libro era difficile”: King era difficile? E Burroughs che minchia è?

Ci sono molte ragioni per cui il film non funziona, ma due su tutte sovrastano la scena: gli effettacci in CGI e la chiave narrativa scelta per il riadattamento. Gli effetti in CGI sono una piaga del cinema contemporaneo, soprattutto nell’horror che richiede per definizione il mantenimento della sospensione dell’incredulità, altrimenti viene a mancare lo spavento, o l’orrore, o il turbamento o qualsiasi cavolo di cosa si intenda provocare nello spettatore in una storia in cui la gente muore ammazzata o viene minacciata da entità sovrannaturali (= horror). In It – Capitolo 2 gli effetti speciali sono talmente sovrapposti (male) alla realtà da scollare immediatamente lo spettatore dalla narrazione: impossibile pensare che la produzione abbia voluto risparmiare su quello che un tempo avremmo definito un kolossal, dunque c’è da credere che le apparizioni mostruose, praticamente rese in forma di cartoon, siano volute, siano insomma l’effetto di una scelta stilistica, volta forse a rendere mainstream la violenza di un film in cui, vuoi o non vuoi, vengono smembrati un paio di bambini, cosa solitamente mal digerita dal grande pubblico. Il problema è che il ricorso agli effetti digitali è più che eccessivo, è quasi totalizzante, anche quando sarebbero bastate due protesi di silicone e soprattutto è fatto molto ma molto male.
Il secondo aspetto per cui il film assolutamente non funziona è la chiave narrativa e nello specifico la chiave comica: nel film sono inseriti innesti comici e ridicoli e qui l’intento è chiaro, il problema è che Muschietti sembra aver saltato qualche lezione all’Università dell’Horror Anni 80, quello che di fatto ha portato alla perfezione l’infiltrazione del comico nel genere. Il Maestro Massimo nell’esercizio di questa chiave narrativa è indubbiamente Wes Craven, a partire dalla sua creatura iconica Freddy Krueger: per far ridere in un horror senza sacrificare l’elemento terrificante, la portata minacciosa del mostro, occorre scrivere una storia che sia dall’inizio comica e orrorifica, il cui risultato sia dunque il grottesco, non è sufficiente trapiantare gag divertenti nella sceneggiatura… la procedura è più difficile di quel che sembra e It – Capitolo 2 proprio non ce la fa.
Prima di chiudere questa recensione inutilmente lunga, che a ben pensarci è una meta-critica al rapporto utilità-durata del film, eccovi una rapida carrellata sulle cose che funzionano: la prima mezz’ora, efficace, ambiziosa a livello registico, convincente… non si capisce perché Muschietti abbia preso un’altra strada per le restanti DUE ORE; le citazioni e gli ammiccamenti, tra cui La Cosa (J. Carpenter, 1982), Shining (S. Kubrick 1980), il terribile finale della miniserie del 1990, lo stesso King che compare in un bel cameo, Street Fighter, la Tartaruga del libro; la strepitosa sequenza di Beverly nella casa della signora Kersh, che ci ha fatto cacare addosso nel 1990 e che sarebbe entrata nella leggenda in questo riadattamento se solo non avessero rovinato tutto con gli effetti digitali; gli addominali di Ben/Jay Ryan pur incollati ad un personaggio IN SOP POR TA BI LE spero di averlo sillabato bene.

Resta infine da notare come la straordinaria bruttezza di questo Capitolo 2 rovini in qualche modo di rimbalzo, per osmosi, fuoco amico, il Capitolo 1. Insomma un enorme spreco, uno spreco colpevole oltretutto, con quella barca di soldi, con quegli attori più che dignitosi, col possente tam tam mediatico: un assoluto peccato mortale, roba che se esiste un inferno, vi esiste anche un posto assicurato per Muschietti.

Lo vuoi un palloncino?

No, col cazzo, tienitelo

FINE.

 

Voto: due di quei ragni dimmerda della miniserie anni 90 su cinque.

it-ragno-film-tv-1990.jpg it-ragno-film-tv-1990.jpg / 5

2 risposte a "It – Capitolo 2: crescere è una grandissima sòla"

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  1. Un appunto sulla CGI: non è una questione di soldi o di stile, ma di tempo.
    Hai presente Gravity? Ecco, per ogni fotogramma di film sono servite ORE di rendering, hanno dovuto usare diversi supercomputer in parallelo (render farm) per fare tutto in tempi umani.
    Quindi se riempi il tuo film di computer grafica, dovresti poi avere mesi di tempo solo per renderizzare tutto per bene. Tempo che in genere non c’è.
    Tipico esempio è Black Panther, un film su cui la Marvel ha puntato moltissimo, è costato infatti 200 milioni e la CGI fa cacare. Questo perché hanno rimaneggiato parte del film a pochi mesi dall’uscita e non hanno avuto tempo di rifare come si deve le scene in computer grafica.

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