È normale non nutrire alcun interesse per questo referendum, perché il suo tema è minuto sia sul fronte del sì, che sul fronte del no.
Domenica e lunedì si vota per confermare o respingere una legge di revisione costituzionale contenuta nel Contratto del Cambiamento o come cazzo se chiamava il ridicolo accordo politico cui Lega e 5 Stelle hanno vincolato il Governo Conte I. Siccome al Senato la legge è passata in seconda deliberazione con una maggioranza inferiore a quella dei 2/3, è stato possibile indire un referendum per chiedere a noialtrə se abbia senso o meno ridurre di circa un terzo il numero di parlamentari.
Ma io davvero per quanto mi possa sforzare: ma che minchia ne so.
Oltretutto va fatto notare come, nonostante la rovinosa caduta del Governo Conte I a opera del testacoda elettorale di Salvini, che stava perdendo consensi a causa della realpolitik imposta dalla coalizione, l’iter di approvazione della legge sia stato comunque portato a compimento dal Governo 5 Stelle – PD il che mette in luce, come se ce ne fosse ancora bisogno, quale delle due metà della mela avvelenata gialloverde pendesse per questa riforma.
Ed è anche molto interessante notare come alla mancata maggioranza dei 2/3 al Senato lo scorso anno, circostanza che ha reso possibile questo referendum, abbia contribuito il voto contrario del PD che era all’opposizione e che invece adesso è per il sì però pronunciato di malavoglia e a mezza bocca, come quando a Natale ti obbligavano a dare un bacio alla zia che odorava come l’interno di una cassettiera. Ah: il PD.
Qui termina la parte interessante di questa storia.
A lungo mi sono domandato per quale motivo di questo referendum mi importasse come mi importa dei sentimenti del concorrente di un talent show, e mi sono anche sentito in colpa perché alla partecipazione politica non si deve mai reagire con la noia, che è il prodromo dell’indifferenza gramsciana e tutte quelle cose lì, poi ho capito che il problema non ero io ma la natura del quesito.
Sia il fronte del sì che quello del no si sbracciano innanzitutto per conferire appeal alla questione, che in realtà non ne ha molta. Stiamo parlando della riduzione di 1/3 del numero di parlamentari di una democrazia rappresentativa, il cui livello di rappresentatività è diluito nelle dinamiche di partito e comunque legato a un rapporto Parlamentare-abitanti che potremmo dire omeopatico: attualmente è di circa 1,5 ogni 100 mila abitanti con diritto di voto, cioè lo 0,000015. Con il taglio scenderebbe a 1 su 100.000, ossia lo 0,00001.
Cioè, dai, non cambia un cazzo è evidente.
LE RAGIONI DEL SI
Bisogna però dire che le ragioni del sì vanno dall’inconsistenza al populismo, scomodando il risparmio (a parte che sono tipo 100 milioni l’anno ma poi bisogna davvero essere delle grandissime merde per farne un discorso di soldi), lo snellimento dell’iter legislativo (non è che diventano 10, saranno comunque in 600, non cambia molto), il confronto con gli altri Paesi europei (non sia mai che prendiamo ispirazione dagli altri Paesi europei per il welfare, no: prendiamo cose utilissime come il loro numero di parlamentari), fino alle ragioni travagliesche che puntano il dito sul Governo Fanfani che nel 1963 aumentò il numero di parlamentari perché la DC è arraffona e cattiva.
Ma Travaglio cosa basta Travaglio BASTA.
Un altro argomento per il sì è che l’attuale numero di parlamentari non tiene conto dell’arrivo di altri soggetti in grado di legiferare come le Regioni, ma a questo punto perché non agire sul tema annoso dei conflitti d’attribuzione? Ah giusto perché se dici alla gente conflitto d’attribuzione non ti trascini dietro la schiumante rabbia antipolitica che chiede a gran voce le sciabolate sulla Casta.
Infine, un argomento per il sì è quello che lega (a rigor di logica a sentire chi sostiene questa ipotesi) il passaggio della modifica costituzionale alla tanto agognata riforma della legge elettorale perché finalmente così, avendo meno rappresentanti, lo stesso Parlamento che ha cambiato negli ultimi 15 anni 3 sistemi elettorali senza mai toccare le liste bloccate, sentirà l’urgenza proprio fortissima di tornare alle preferenze e uscire così dallo squallido giogo elettorale delle segreterie di partito.
Non vedo errori.
LE RAGIONI DEL NO
Sul fronte del no c’è per lo più molto fastidio, perché la legge su cui il referendum si deve esprimere non serve a un cazzo di niente, è solo una raschiatura dal fondo del barile pentastellato da cui sono fuoriusciti tutti i fluidi identitari come Tav, Tap, reddito universale, ambiente, giustizialismo (non dimentichiamo la non autorizzazione a procedere per Salvini, che ha segnato l’inizio della decomposizione a 5 Stelle).
Non c’è alcuna ragione per il no perché le ragioni del sì sono inutili, gli appelli alla difesa della democrazia sono stanchi e poco convinti, e si vede. Ridurre da 900 a 600 un’Assemblea già così diluita, in un sistema diluito che scoraggia l’espressione diretta della democrazia, non ha alcun impatto concreto sulla salute della Repubblica. Al massimo creerà qualche intoppo nella formazione delle commissioni, che potrebbero soffrire di un numero inferiore di parlamentari. Il numero di senatori eleggibili per ciascuna Regione sarà ridotto ma proporzionalmente per tutte le Regioni quindi…sul serio non…non cambia un cazzo dai.
MA QUINDI: SI O NO?
Visto che è davvero difficile fare ragionamenti seri e di senso nel merito del quesito referendario, l’unico appiglio possibile resta quello formalista, per quanto sia un argomento raramente raffinato per votare a un referendum.
La realtà a volte è davvero banale a dispetto del nostro continuo bisogno di significarla, e il referendum di cui parliamo dimostra molto bene questo concetto: io una riforma costituzionale a Di Maio non la voglio concedere, mi sta sul cazzo l’idea che la Carta porti per chissà quanti anni a venire una cosa pensata da questi individui minimi, incapaci di progettare, la massima espressione della contingenza.
Quindi insomma no, ma con molto fastidio. Tipo, “che cojoni ma che voi? Ah: no”.
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